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Il Gap che non ti aspetti

  • Immagine del redattore: andrea prosperi
    andrea prosperi
  • 10 ott
  • Tempo di lettura: 4 min
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Qualche settimana fa mi sono imbattuto in un annuncio che ha colto la mia attenzione, l'inserzione recitava più o meno così:

“Vendesi Vespa GS 150, anno 1959 conservato, ottimo stato. Targa e libretto originali. Prezzo di mercato, astenersi perditempo e affaristi.”

La formula “astenersi perditempo e affaristi” è un grande classico di questo tipo di annunci, indica un venditore consapevole del valore del proprio bene e poco incline alla trattativa, tuttavia l’oggetto dell’annuncio è, per un vespista, di notevole interesse essendo la GS ormai molto rara, soprattutto se conservata nel suo stato originale.

C’era qualche chilometro da fare ma non ho resistito, presi accordi via chat con il venditore ho raggiunto la località collinare e l’indirizzo indicato dove, con una certa sorpresa, mi ha accolto Irene, infermiera a cui a prima vista avrei dato non più di 26 anni. 

Mi ha confidato che la vespa era del nonno e che era stata conservata maniacalmente, ma ora dovendosi trasferire in città per il suo lavoro, voleva disfarsene ed era motivata a monetizzare “l’eredità” dovendo affrontare le spese del trasferimento. Dopo poco siamo stati raggiunti da altri acquirenti, del resto la preda era parecchio ghiotta, 2 dentisti tedeschi di Monaco sulla sessantina con un piccolo furgone volkswagen e un signore robusto più anziano che, munito di calamita, ha subito iniziato a verificare eventuali stuccature della carrozzeria.

Questo era uno di quei romagnoli simpatici che al primo incontro iniziano a parlarti come se ti conoscessero da sempre e a me fanno venire il dubbio che ti abbiano scambiato per qualcun altro.

Dopo trenta secondi aveva già preso sotto braccio Irene e le stava spiegando che lui aveva già avuto una vespa come quella, l’aveva acquistata con il suo primo stipendio da tornitore, poi l’aveva venduta per comprare una 127 arancione (meglio specificarlo), pentendosene per tutta la vita.

Dopo qualche schermaglia tipica di queste vendite finalmente Irene ci ha rivelato qual’era il prezzo, non trattabile. La cifra, certamente alta, era più o meno come me l’aspettavo e anche per i bavaresi non era stata una rivelazione sconvolgente. Non altrettanto per il tornitore in pensione che alla richiesta di Irene aveva reagito come ad un’offesa personale.

 

Da lì aveva iniziato una disamina inarrestabile a metà tra un trattato di macroeconomia   e un’analisi sociologica. Nonostante una certa concitazione nell’esposizione il senso era chiaro: “ho comprato la vespa con il mio primo stipendio e ora non mi basta un anno di pensione per ricomprarla” “voi giovani avete delle pretese insensate, la mentalità è cambiata, tutto vi è dovuto”.

Questa frase per me è un vero e proprio trigger, non l’avevo mai sentita con riferimento alla compravendita di motocicli ma nel mio lavoro è un refrain comunissimo che rappresenta in maniera plastica il generation gap presente oggi in ogni azienda. 

L’idea che la generazione entrante nel mondo del lavoro abbia una mentalità completamente diversa, un’allergia alla fatica, una concezione del lavoro stravolta, è molto diffusa sia tra i boomer che tra i miei coevi della generazione X.

Io non sono d’accordo, non credo che la natura, lo spirito e il desiderio del genere umano abbiano subito un downgrade così significativo negli ultimi anni. 

Tuttavia, partecipando alle attività di recruiting per la mia azienda, io per primo mi imbatto frequentemente nelle richieste che, in maniera molto aperta (qualcuno direbbe sfacciatamente), i ragazzi pongono alle aziende.

Allora che cosa è cambiato, quale equilibrio è stato sovvertito in maniera così radicale nel rapporto tra candidati e aziende?

Questa è la stessa domanda contenuta implicitamente nella reazione sdegnata del tornitore in pensione di fronte alla richiesta di Irene. 

E anche la risposta è la medesima: quello del lavoro, così come quello delle vespe d’epoca, è un mercato con regole ed equilibri propri.

Non c’entra la cultura, non c’entra la mentalità si tratta semplicemente di maggior potere negoziale. 

Irene può motivatamente fare una richiesta così esosa perché il suo è l’unico esemplare di Vespa GS 150 del 59 in vendita in regione.

  1. Entro il 2035 perderemo il 15% della forza lavoro italiana.

  2. Quella entrante è la prima generazione che non vedrà migliorata la propria condizione socio economica attraverso il lavoro.

  3. Non esiste più una demarcazione netta tra tempo di lavoro e tempo di riposo: chi inizia a lavorare oggi sa che dovrà farlo forse per tutta la vita.

Queste 3 semplici considerazioni bastano a motivare un diverso sinallagma contrattuale tra chi cerca e chi offre lavoro.

  1. So che non rimarrò mai disoccupato.

  2. Non diventerò ricco con il mio lavoro.

  3. Devo trovare un lavoro che mi accompagni, e sia sostenibile, per tutta la vita.

Anche il nonno del tornitore romagnolo, emigrato in Belgio per lavorare con turni massacranti nelle miniere di carbone della Vallonia (ha trovato il modo di raccontarci anche questo pensando che potesse contribuire ad abbassare il prezzo), se avesse vissuto le medesime condizioni, avrebbe richiesto 2 giorni di smart working, un orario flessibile e un lavoro con un senso appagante. Semplicemente non poteva.

Se solo tenessimo a mente queste semplici considerazioni quando incontriamo un gen Z,  certamente buona parte delle incomprensioni e del gender gap sarebbero superate. 

Se invece preferiamo la narrativa eroica di “noi nati negli anni 60/70” finiremo per non completare l’acquisto. 

La GS l’hanno presa i dentisti bavaresi, in contanti e senza trattativa, Irene è contenta, le sue pretese non erano infondate.



 
 
 

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Andrea Prosperi.
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