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C’era una volta il silverback gorilla

  • Immagine del redattore: andrea prosperi
    andrea prosperi
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 2 min
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La metafora del silver back gorilla come esempio della vecchia leadership non è mia, l’ho sentita raccontare qualche anno fa dal consulente, grande viaggiatore e ora amico Gianfranco Gennaro. Il Silverback guida il branco dall’alto, garantendo sicurezza, ordine e direzione. È colui che si frappone tra il pericolo e la sua comunità, che decide i tempi del movimento e del riposo, che si fa rispettare più per la forza che per l’ascolto. L'immagine mi ha così conquistato che ora un silverback cartonato a grandezza naturale che giganteggia nel mio ufficio.

In azienda, questo modello si è tradotto in una leadership, accentratrice e carismatica, spesso efficace in contesti dove la stabilità e la prevedibilità erano la norma. 

Il mondo del lavoro contemporaneo — fluido, digitale, interconnesso e multiculturale — ha reso questo paradigma non solo anacronistico, ma anche potenzialmente disfunzionale.

La crisi del Silverback

Il Silverback aziendale — il leader che “sa tutto”, che “decide per tutti” e che “mantiene il controllo” — oggi fatica a leggere la complessità. La velocità del cambiamento, la necessità di innovazione continua e la centralità del benessere individuale richiedono nuove competenze: empatia, ascolto, inclusione e capacità di valorizzare la diversità.

Sopratutto la velocità di cambiamento mette in crisi un modello così personalizzato e suggerisce la necessità di un coinvolgimento di più attori e, magari, di attori più a proprio agio nei nuovi scenari.

Il cerchio al posto del trono

Quando penso al silverback mi viene in mente il Re Luigi del libro della jungla seduto sul suo trono fatto di rovine di pietra, si lo so in realtà non era un gorilla ma un orango del Borneo, ma che non fossi uno zoologo già lo sapevate. Il re Luigi voleva capire, possedere il fuoco senza però riuscirci mai, in compenso cantava uno swing davvero strepitoso.

Vabbeh ho divagato però quello che volevo dire è che si può anche essere un ex-Silverback di successo, c’è speranza anche per il vecchio leader.


Quello che deve fare è scendere da quel trono in rovina e sedersi in cerchio con gli altri.

Essere un ex-Silverback non significa abdicare alla propria esperienza. Anzi: le spalle larghe servono ancora, ma non per dominare — per sostenere. L’ex silverback usa la propria autorevolezza per dare voce a chi non l’ha ancora trovata, misura il proprio successo sulla crescita collettiva, non sul potere individuale.

In questa prospettiva, la vera evoluzione non è abbandonare la leadership, ma trascenderla: passare dal comando alla cura, dal controllo alla fiducia, dalla gerarchia alla co-creazione. E così forse il grigio argenteo andrà ancora di moda per molti e molti anni.


 
 
 

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Andrea Prosperi.
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